Buongiorno Signora Presidente, buongiorno a tutte e a tutti. Come prima cosa lasciatemi esprimere tutta la mia gratitudine per essere qui oggi, a condividere con voi qualche riflessione sulle politiche sociali, su un settore della pubblica amministrazione del tutto trasversale, che presenta influenze e che prevede, e al tempo stesso necessita, di raccordi indispensabili con l’intero sistema istituzionale e dei servizi pubblici più in generale.
Il raggio delle politiche sociali è ampio e multiforme: dalle politiche abitative, agli interventi sui minori, dalle diverse abilità all’accoglienza ed integrazione dei migranti alle nuova povertà e, come in questi giorni, alle emergenze per calamità naturali. Proprio per la sua universalità necessita di una sistematizzazione e di un impegno congiunto e proattivo tra il sistema degli Enti Locali ed il Governo.
Oggi più che mai appare indispensabile un cambio di paradigma reale che consideri le politiche sociali politiche di sviluppo dell’intera società e non semplicemente un settore di spesa delle politiche pubbliche. E’ impensabile che le politiche sociali non siano considerate dall’ordinamento servizi essenziali come possono essere, per un Comune, l’anagrafe o il servizio elettorale. Le politiche sociali sono, per lo più, il frutto di una “creatività sociale”, nascono dalle persone e dai territori, nascono come risposta ad un problema, si avvalgono di un pensiero che è frutto della rielaborazione condivisa delle esperienze di vita vissute. Sono politiche “calde”, “creative” e che richiedono una concezione ed una pratica della politica che metta al centro le persone, le relazioni e dunque la capacità di ascolto e condivisione.
La storia delle politiche sociali è quella che dalla carità e dall’assistenzialismo porta, con la L.328/00, alla promozione dei diritti e della dignità. Oltre agli interventi relativi alle emergenze sociali promuove interventi di sostegno alla normalità della vita delle famiglie e delle persone per realizzare il benessere individuale e collettivo. Politiche sociali, dunque, sempre di più indirizzate in un percorso di benessere collettivo e di prevenzione del disagio. Uno strumento di autentica coesione sociale destinato a tutta la comunità. Le politiche sociali sono politiche locali, territoriali e comunitarie perché presuppongono il coinvolgimento attivo della comunità, di tutti i suoi attori e di tutte le sue risorse economiche, sociali, culturali. Ed ecco perché il territorio diventa la dimensione fondamentale, oserei dire fondante, delle politiche sociali, e che deve quindi essere opportunamente considerato dal livello centrale di governo.
Non esiste sociale senza comunità di riferimento. Ma non può esistere un sociale giusto ed efficiente senza una governance strutturata e professionale che restituisca dignità e accessibilità ai diritti di tutti i cittadini, non solo quelli in condizioni di disagio o a rischio di emarginazione.
Con la L.328 del 2000 gli Enti Locali si sono organizzati in forme di gestione associata dei servizi in ambito distrettuale lasciando alla autonoma determinazione dei Comuni di scegliere tra le forme previste. Le forme associative leggere quali la convenzione o l’accordo di programma hanno da tempo evidenziato tutti i loro limiti, dalla mancanza di personalità giuridica autonoma dell’organo di indirizzo al peso formale e contabile della gestione sul Comune capofila che però non usufruisce di nessuna deroga specifica ai vincoli di legge per lo svolgimento di una funzione sovra-comunale. Questo rende impossibile procedere alla stabilizzazione dei servizi e del personale, che è costituito da professionalità molto complesse, diverse da quelle presenti ordinariamente nei Comuni perché formato con la lungimiranza e la unicità di leggi importanti dello Stato quali la L.285 del 1997 che ha aperto la strada ad un percorso importante e che purtroppo non vede più destinare finanziamenti agli ambiti sociali e la L. 328 del 2000 che ne ha ratificato e implementato l’impostazione definitiva. Un personale, dunque, difficilmente sostituibile, pena l’arretramento della qualità dei servizi. In base a ciò appare necessario come prima cosa procedere alla elaborazione di un quadro chiaro e definito che riconosca con urgenza una soluzione alla governance dei servizi alla persona, rendendo effettivamente certi ed esigibili i diritti sociali dei cittadini attraverso una continuità finanziaria (rendendoli fondi strutturali e continuativi), una continuità dei servizi e una continuità operativa contrastando in tutti i modi il turn-over del personale che produce la conseguenza della dequalificazione dei servizi e della incertezza per i cittadini.
Bisogna chiarire il quadro normativo e optare per le gestioni più avanzate e più efficaci quali appaiono i consorzi o le aziende speciali. Si dovrebbero istituire a livello locale delle vere e proprie AGENZIE PER LA COESIONE SOCIALE, dove far transitare tutto ciò che riguarda il “sociale” e far incontrare le azioni dei diversi livelli istituzionali, da legare indissolubilmente con tutti gli organismi che si occupano di sviluppo locale e di politiche attive del lavoro. Solo così potranno essere superate le differenze tra regioni e territori che spesso segnano le difformità nell’erogazione dei servizi. E’ urgente un disegno strutturale che tenga conto sia dei tempi sia degli obiettivi di servizio da raggiungere e che faccia interventi mirati nell’ottica dell’investimento e non, come è spesso avvenuto, del solo taglio di spesa. E’ urgente una prospettiva lungimirante che consenta di rispondere ai nuovi ed ai vecchi disagi sociali, alle marginalità urbane in aumento e rispetto alle quali non siamo ancora attrezzati, ma anche alle esigenze di ben-essere delle persone nella prospettiva di un aumento del livello della qualità della vita, in un’ottica preventiva che consentirà lo sviluppo di comunità di salute e di economie future, perché prevenire oggi significa risparmiare domani. Il livello centrale deve esercitare un ruolo di coordinamento efficace ed uniforme e disegnare senza ambiguità e disparità territoriali il sistema di welfare italiano.
Le politiche sociali sono state considerate, tradizionalmente, delle politiche minori, in realtà, troppo tardi e ancora troppo poco, siamo arrivati alla consapevolezza che sono politiche indispensabili, politiche che si intrecciano con tutte le altre e che hanno finalità che convergono nei significati di Stato e Comunità. La crisi economica sembra irreversibile, la disoccupazione appare un dato strutturale, i Comuni devono essere messi nelle condizioni di poter aiutare concretamente chi vive una situazione, anche temporanea, di disagio e non possono essere lasciati soli a fronteggiare gli effetti devastanti della crisi. Il secondo spunto di riflessione è legato alla contingenza ma è di rilevanza enorme e si riferisce all’eccezionale evento sismico del 24 agosto e del 30 ottobre. In questa occasione, più che mai, le Amministrazioni locali hanno dovuto fare i conti con la fragilità di un sistema che rende molto complesse le prese in carico delle esigenze della comunità. Non c’è stato Sindaco che non abbia richiesto psicologi, assistenti sociali ed educatori; che non abbia dunque richiesto una implementazione dei servizi che ordinariamente ogni ambito è tenuto ad erogare.
La condizione di emergenza determina una situazione sociale ipercomplessa e iperproblematica, che destabilizza la routine e le modalità di funzionamento sino a quel momento consolidati nella società, fa riferimento alle condizioni di instabilità, alla scarsità di risorse, ai rischi di disgregazione che caratterizzano qualunque situazione di grave criticità. La risposta dei servizi in questo caso deve andare a sostegno delle singole vittime, dell’identità socioculturale, della comunità e del senso di comunità, della “resistenza” intesa come risposta sociale e comunitaria alla catastrofe. Le strategie attivate, viste in ottica sistemica, rimandano alle idee di soccorso, cura, messa in sicurezza della popolazione, ripristino delle attività sociali e istituzionali di base (penso alla scuola o al servizio sanitario). Ma il momento dell’emergenza si distingue da qualunque altro sperimentato nel corso della propria vita, in quanto caratterizzato da paura o terrore, sensazione di impotenza, elaborazione del lutto in circostanze extra-ordinarie. Conduce ad un disorientamento nel tempo e nello spazio, ed a un senso di derealizzazione per il quale il soggetto non riconosce il mondo esterno nel quale ha sino a quel momento vissuto. L’intervento in emergenza ed in post-emergenza dei servizi sociali (ma anche nell’ordinario) deve avere distinta e pari dignità rispetto al sanitario, deve essere legato ad un ruolo da protagonista nella mediazione e nella azione rispetto alle criticità individuali, alle criticità collettive, a quelle contestuali e territoriali, al fine di prevenire o ammortizzare i danni, orientare individui e comunità alla ri-progettazione dell’esistenza e della vita sociale, stimolare atteggiamenti di consapevolezza rispetto ai processi decisionali che investono le collettività, favorire comportamenti di cittadinanza attiva e di partecipazione agli stessi processi decisionali.
E’ necessario affiancare alla ricostruzione strutturale e architettonica dei Comuni colpiti dal sisma una puntuale ricostruzione sociale che possa evitare lo spopolamento delle zone, avviare processi di ricostruzione dell’identità comunitaria e di orientare le azioni sociali verso la dimensione associativa e aggregativa del territorio, nonché verso l’elaborazione e il superamento del trauma collettivo. E’ inderogabile definire un percorso chiaro e formalizzato di ricostruzione sociale quale percorso parallelo a quello di ricostruzione strutturale, architettonica ed economica ed in tal senso non è possibile non considerare gli ambiti e le strutture di piano, la componente gestionale, come interlocutori validi e necessari all’interno degli Uffici per la Ricostruzione e consentire agli stessi, in questa situazione così grave ed eccezionale, di poter adottare tutti gli strumenti utili e snelli per avviare i percorsi necessari di strutturazione e di implementazione dei servizi. La fragilità delle strutture di governance, se è grave sempre, in momenti come questo rappresenta un gravissimo danno a tutti e una precarietà che, per contagio e condizionamento, si diffonde su tutte le comunità colpite e sui singoli cittadini. Se il lavoro egregio della Protezione Civile permette di intervenire da subito non possiamo non pensare che il lavoro sui cittadini e sui contesti sociali è un lavoro a lungo, a lunghissimo termine che non può non essere svolto dai servizi comunali e distrettuali che devono essere riconosciuti e valorizzati senza più ambiguità e attendismi.
La letteratura scientifica sulle conseguenze e sugli effetti sulla popolazione dei disastri e alle calamità naturali indica quanto lavoro ci aspetta nei prossimi anni, quanti disagi e quanti sintomi si svilupperanno nel tempo, anche a distanza di molto tempo, e non possiamo pensare che i nostri territori non siano pronti ed in grado di affrontarli. Chiediamo, anche per questo, ogni direttiva utile a sostenere ed implementare le risorse umane e i servizi territoriali ed un riconoscimento chiaro e puntuale dei servizi sociali nel processo di ricostruzione delle comunità. Mettere in moto meccanismi virtuosi, promuovere una cultura della resilienza, della condivisione e della cooperazione, agire in risposta ai bisogni individuali e collettivi, sviluppare interventi di comunità e rete con tutti gli attori del territorio. Queste sono tutte competenze delle politiche sociali nel loro significato più autentico.
A questo link, a partire dal mimuto 7.54, è possibile vedere il video dell'intervento del Sindaco di Rieti Simone Petrangeli sulle Politiche di Welfare.